Buon pomeriggio readers,
nuovo appuntamento dedicato agli Autori Emergenti, oggi nella Rubrica di Pagina 69 ospiteremo Valentina Vanzini e il suo libro "101 Modi per dirti Ti Amo".
Pagina 69
Autore Emergente se ti sei appena sintonizzato sul mio
blog, il giovedì è dedicato a te quindi scegli come vuoi avere un po' di
visibilità (segnalazione o pagina 69) e invia un email a gattolibraio@libero.it con il libro
Sia per la pagina 69 che per la segnalazione dovrai inviarmi il seguente materiale:
- Libro da segnalare
- Piccolo estratto a piacere del libro
- Biografia
- Foto autore/autrice o qualcosa che vi rappresenti
Avviso: Tutte le email sprovviste di questo materiale non saranno neanche prese in considerazione
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Ricordo che la rubrica è stata ideata da Ornella di Peccati di Penna.
101 MODI PER DIRE TI AMO - VALENTINA VANZINI
Prezzo: ebook € 2,99
Pagine: 215
È il giorno più bello della vita di Samantha: sta per firmare un contratto milionario con la società di consulenza finanziaria per cui lavora e presto otterrà non solo un assegno sei zeri, ma anche il ruolo di socia. Tutto sembra filare liscio sino a quando non riceve una telefonata. È la sua sorellastra, Chiara, che minaccia di suicidarsi. Samantha non la vede da dieci anni, ma quando finirà in ospedale sarà costretta a lasciare Milano e partire in direzione della Toscana.
In breve tempo lei, convinta vegetariana e ragazza di città, si troverà catapultata in un casale sperduto fra le campagne della Val D’Orcia, fra mucche, letame e telefoni che non prendono. Con lei due nipoti che nemmeno conosce: Clara, adolescente perennemente arrabbiata, e Giulio, piccolo genietto di sei anni che parla sempre troppo. A peggiorare le cose ci pensano un vicino stronzo (ma maledettamente sexy) e il suo cane arrapato. Fra momenti comici, colpi di scena e tanto romanticismo, Samantha proverà a salvare il casale di famiglia dal pignoramento e ad aprire il suo cuore all’amore, scoprendo che non esiste uno, ma 101 modi per dire TI AMO alle persone che abbiamo accanto.
ESTRATTO
“Ciao” gli rivolgo un gesto di saluto e me ne sarei anche rimasto per conto mio se lei non avesse alzato lo sguardo guardandomi con aria di sfida.
A quanto pare non vado proprio giù alla signorina. Poco male, anche lei non mi sta simpatica. E se vi state chiedendo allora perché l’ho baciata, beh, basta guardarla per capirlo. Sono fatto di carne ed ossa pure io.
“Come diavolo ti sei vestita?” ridacchio avvicinandomi. Indossa un paio di shorts che sembrano più delle culotte che dei pantaloncini, una t-shirt bianca con la scritta GUCCI e delle zeppe intrecciate.
Mi lancia un’occhiataccia. “Prima di tutto a te cosa interessa” ringhia poggiando le mani sui fianchi “Secondo: se proprio devo fare questa cosa almeno lo farò con stile. Mi sono vestita in modo comodo e casual”
Scoppio a ridere, perché la sua espressione quando dice “casual” è troppo comica. Ma davvero ci crede? Evidentemente sì, visto che mi sta fulminando con lo sguardo.
Provo a recuperare il controllo prima che le venga in mente di tirarmi un sasso in testa, anche perché scommetto che lo farebbe molto volentieri. “Non è un po’ troppo tardi per andare a vedere gli olivi?” le faccio notare.
Lei alza gli occhi al cielo, innervosita. “Ma tu non hai altro da fare che impicciarti dei fatti nostri. Non dovresti fare altre cose da contadino. Che so, dare da mangiare alle galline”
“Fatto”
“Pulire le stalle”
“Fatto”
“Arare i campi”
“Fatto pure quello” sorrido malizioso “Sono sveglio dalle cinque. Io”. Ed è sabato, aggiungerei. Entro settimana mi alzo anche prima.
“Santo cielo come sei fastidioso!” borbotta alzando le braccia al cielo “Beh, allora trovati altro da fare invece di infastidire chi vuole lavorare”.
Scoppio a ridere “Si, come no” dico e mi volto per allontanarmi
“Come hai detto scusa?!” la sua voce alta e adirata mi costringe a voltarmi di nuovo.
Incrocio le braccia per nulla impressionato dalla sua espressione torva. “Non credo che riuscirai a concludere molto” dico sinceramente. Non solo si è svegliata tardissimo, ma si è anche vestita come una ballerina di lap dance. Dove diavolo crede di essere, in un reality sulla campagna?
“E tu che diavolo ne sai?” sbotta e per tutta risposta io gli rivolgo un sorriso compiaciuto. Di quelli che sono in grado di far sciogliere qualsiasi donna, ma anche di farla incazzare a morte, quando è necessario. E questo è il caso.
Stringe i pugni innervosita e cammina a passo di marcia verso di me. “Io mi sono proprio stancata di…” sbraita barcollando sui tacchi alti, ma la voce squillante di Giulio copre la sua.
“Ehi ciao Lucky” grida, ma il cane più che al bambino sembra interessato alla donna.
Ho trovato Lucky quattro anni fa mentre percorrevo l’autostrada per viaggiare da Roma a San Quirico d’Orcia. Stavo tornando dall’avvocato dopo aver firmato le pratiche del divorzio ed era una di quelle giornate difficili da digerire. Pioveva e faceva un freddo boia, di quel freddo che ti entra nelle ossa e ti fa battere i denti. Quando l’ho visto, piccolo e tutto bagnato, che trotterellava accanto al guardrail non ci ho pensato due volte. Ho accostato e l’ho caricato in macchina. Eravamo due anime abbandonate e sole, due bastardi bastonati dalla vita. Per tutto questo tempo ci siamo fatti compagnia. Lui bada alle bestie, io gli do una casa in cui stare.
Non ho mai capito di che razza sia. Peserà al massimo dieci chili, ha un pelo lungo e arruffato da yorkshire, di un grigio bruno, e gli occhi in fuori da chihuahua. Ma soprattutto va pazzo per le femmine, di qualsiasi razza… e stazza.
Samantha non fa eccezione e Lucky, dopo averle girato attorno allegramente, si attacca alla sua gamba muovendosi avanti e indietro. Lei emette uno strillo e prova ad allontanarlo, ma il buon vecchio Lucky ormai è diventato un vero esperto della monta e non si stacca in alcun modo, al contrario, aumenta il ritmo sbattendo ancora più veloce contro la gamba.
Clara e Giulio scoppiano a ridere divertiti, mentre Samantha saltella all’indietro con Lucky saldamente agganciato alla coscia.
“No cane, no. Staccati cucciolone, dai staccati”. Prova ad afferrarlo per il collare e a spingerlo indietro, ma per tutta risposta Lucky rotea i suoi giganteschi occhi e le lecca il braccio, sbavando dappertutto.
“Oddio che schifo! Fa qualcosa!” strilla sollevando le mani gocciolanti di bava, perché quando il mio Lucky si dà da fare è un vero mandrillo.
Per un attimo sono tentato di rimanere a godermi la scena ancora per un po’. Poi però il senso di colpa ha la meglio. Con fermezza afferro Lucky per le zampe anteriori e lo allontano.
“No Lucky! No!” dico prendendo un ramo da terra e lanciandolo lontano. Lucky perde immediatamente interesse per la gamba e corre dietro al ciocco di legno, in direzione delle mucche.
I ragazzi sono ancora piegati in due dalle risate. Giulio si sta rotolando a terra, mente Clara si asciuga le lacrime agli occhi. L’unica che non ha nessuna voglia di ridere è la Signorina di Città, che si sta guardando intorno con aria schifata alla ricerca di un modo per levarsi di dosso tutta quella saliva.
“Mi dispiace” dico con un tono palesemente finto “Lucky è in calore. Deve essere stato il tuo profumo ad averlo attirato”.
Lei fa una smorfia: “Padrone arrapato, cane arrapato” commenta secca “Per lo meno offrimi un maledetto fazzoletto visto che il tuo cane mi ha ricoperto di bava”.
Frugo nella tasca e le porgo un kleenex “Se avessi indossato dei pantaloni veri forse ne avresti uno anche tu” le faccio notare sarcastico.
Mi fa la linguaccia e lo afferra iniziando a sfregarlo con energia sulla coscia nuda. Beh tutto si può dire di Lucky tranne che non sia un buongustaio. Forse sono un po’ troppo magre e pallide (colpa della città), ma su delle cosce così sbaverei anche io volentieri. Per un attimo ci penso su un po’ troppo, poi lei appallottola il fazzoletto sporco e lo lancia a terra.
Viene dalla città, non dimenticartelo.
Incupito raccolgo il kleenex e me lo ficco in tasca. “Forse è meglio se andate” dico alla fine.
“Direi proprio di sì” borbotta lei e barcollando sul terreno dissestato raggiunge i nipoti. “Forza andiamo” dice sollevando il mento con fierezza “Abbiamo molto lavoro da fare. Anche se qualcuno non ha fiducia in noi” esclama e senza aggiungere altro si avviano sulla strada che conduce ai campi.
Li guardo allontanarsi sospirando seccato, ma non posso fare a meno di ammirare quel bel sedere stretto negli shorts che dondola.
A quanto pare non vado proprio giù alla signorina. Poco male, anche lei non mi sta simpatica. E se vi state chiedendo allora perché l’ho baciata, beh, basta guardarla per capirlo. Sono fatto di carne ed ossa pure io.
“Come diavolo ti sei vestita?” ridacchio avvicinandomi. Indossa un paio di shorts che sembrano più delle culotte che dei pantaloncini, una t-shirt bianca con la scritta GUCCI e delle zeppe intrecciate.
Mi lancia un’occhiataccia. “Prima di tutto a te cosa interessa” ringhia poggiando le mani sui fianchi “Secondo: se proprio devo fare questa cosa almeno lo farò con stile. Mi sono vestita in modo comodo e casual”
Scoppio a ridere, perché la sua espressione quando dice “casual” è troppo comica. Ma davvero ci crede? Evidentemente sì, visto che mi sta fulminando con lo sguardo.
Provo a recuperare il controllo prima che le venga in mente di tirarmi un sasso in testa, anche perché scommetto che lo farebbe molto volentieri. “Non è un po’ troppo tardi per andare a vedere gli olivi?” le faccio notare.
Lei alza gli occhi al cielo, innervosita. “Ma tu non hai altro da fare che impicciarti dei fatti nostri. Non dovresti fare altre cose da contadino. Che so, dare da mangiare alle galline”
“Fatto”
“Pulire le stalle”
“Fatto”
“Arare i campi”
“Fatto pure quello” sorrido malizioso “Sono sveglio dalle cinque. Io”. Ed è sabato, aggiungerei. Entro settimana mi alzo anche prima.
“Santo cielo come sei fastidioso!” borbotta alzando le braccia al cielo “Beh, allora trovati altro da fare invece di infastidire chi vuole lavorare”.
Scoppio a ridere “Si, come no” dico e mi volto per allontanarmi
“Come hai detto scusa?!” la sua voce alta e adirata mi costringe a voltarmi di nuovo.
Incrocio le braccia per nulla impressionato dalla sua espressione torva. “Non credo che riuscirai a concludere molto” dico sinceramente. Non solo si è svegliata tardissimo, ma si è anche vestita come una ballerina di lap dance. Dove diavolo crede di essere, in un reality sulla campagna?
“E tu che diavolo ne sai?” sbotta e per tutta risposta io gli rivolgo un sorriso compiaciuto. Di quelli che sono in grado di far sciogliere qualsiasi donna, ma anche di farla incazzare a morte, quando è necessario. E questo è il caso.
Stringe i pugni innervosita e cammina a passo di marcia verso di me. “Io mi sono proprio stancata di…” sbraita barcollando sui tacchi alti, ma la voce squillante di Giulio copre la sua.
“Ehi ciao Lucky” grida, ma il cane più che al bambino sembra interessato alla donna.
Ho trovato Lucky quattro anni fa mentre percorrevo l’autostrada per viaggiare da Roma a San Quirico d’Orcia. Stavo tornando dall’avvocato dopo aver firmato le pratiche del divorzio ed era una di quelle giornate difficili da digerire. Pioveva e faceva un freddo boia, di quel freddo che ti entra nelle ossa e ti fa battere i denti. Quando l’ho visto, piccolo e tutto bagnato, che trotterellava accanto al guardrail non ci ho pensato due volte. Ho accostato e l’ho caricato in macchina. Eravamo due anime abbandonate e sole, due bastardi bastonati dalla vita. Per tutto questo tempo ci siamo fatti compagnia. Lui bada alle bestie, io gli do una casa in cui stare.
Non ho mai capito di che razza sia. Peserà al massimo dieci chili, ha un pelo lungo e arruffato da yorkshire, di un grigio bruno, e gli occhi in fuori da chihuahua. Ma soprattutto va pazzo per le femmine, di qualsiasi razza… e stazza.
Samantha non fa eccezione e Lucky, dopo averle girato attorno allegramente, si attacca alla sua gamba muovendosi avanti e indietro. Lei emette uno strillo e prova ad allontanarlo, ma il buon vecchio Lucky ormai è diventato un vero esperto della monta e non si stacca in alcun modo, al contrario, aumenta il ritmo sbattendo ancora più veloce contro la gamba.
Clara e Giulio scoppiano a ridere divertiti, mentre Samantha saltella all’indietro con Lucky saldamente agganciato alla coscia.
“No cane, no. Staccati cucciolone, dai staccati”. Prova ad afferrarlo per il collare e a spingerlo indietro, ma per tutta risposta Lucky rotea i suoi giganteschi occhi e le lecca il braccio, sbavando dappertutto.
“Oddio che schifo! Fa qualcosa!” strilla sollevando le mani gocciolanti di bava, perché quando il mio Lucky si dà da fare è un vero mandrillo.
Per un attimo sono tentato di rimanere a godermi la scena ancora per un po’. Poi però il senso di colpa ha la meglio. Con fermezza afferro Lucky per le zampe anteriori e lo allontano.
“No Lucky! No!” dico prendendo un ramo da terra e lanciandolo lontano. Lucky perde immediatamente interesse per la gamba e corre dietro al ciocco di legno, in direzione delle mucche.
I ragazzi sono ancora piegati in due dalle risate. Giulio si sta rotolando a terra, mente Clara si asciuga le lacrime agli occhi. L’unica che non ha nessuna voglia di ridere è la Signorina di Città, che si sta guardando intorno con aria schifata alla ricerca di un modo per levarsi di dosso tutta quella saliva.
“Mi dispiace” dico con un tono palesemente finto “Lucky è in calore. Deve essere stato il tuo profumo ad averlo attirato”.
Lei fa una smorfia: “Padrone arrapato, cane arrapato” commenta secca “Per lo meno offrimi un maledetto fazzoletto visto che il tuo cane mi ha ricoperto di bava”.
Frugo nella tasca e le porgo un kleenex “Se avessi indossato dei pantaloni veri forse ne avresti uno anche tu” le faccio notare sarcastico.
Mi fa la linguaccia e lo afferra iniziando a sfregarlo con energia sulla coscia nuda. Beh tutto si può dire di Lucky tranne che non sia un buongustaio. Forse sono un po’ troppo magre e pallide (colpa della città), ma su delle cosce così sbaverei anche io volentieri. Per un attimo ci penso su un po’ troppo, poi lei appallottola il fazzoletto sporco e lo lancia a terra.
Viene dalla città, non dimenticartelo.
Incupito raccolgo il kleenex e me lo ficco in tasca. “Forse è meglio se andate” dico alla fine.
“Direi proprio di sì” borbotta lei e barcollando sul terreno dissestato raggiunge i nipoti. “Forza andiamo” dice sollevando il mento con fierezza “Abbiamo molto lavoro da fare. Anche se qualcuno non ha fiducia in noi” esclama e senza aggiungere altro si avviano sulla strada che conduce ai campi.
Li guardo allontanarsi sospirando seccato, ma non posso fare a meno di ammirare quel bel sedere stretto negli shorts che dondola.
VALENTINA VANZINI
Classe 1987 è laureata in Educazione e Sistemi Editoriali all’università di Tor Vergata. Da anni lavora sul web come copywriter, scrivendo e interessandosi di po’ di tutto. Scrivere per lei non è solo un passatempo, ma un modo per curare nevrosi e ansie, creando personaggi a metà fra finzione e realtà. Si sente tranquilla solo quando ha il suo pc a portata di mano. I tasti con le lettere sono ormai tutti cancellati: indovinate perché
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