Buon pomeriggio readers,
come tutti i giovedì è arrivato il momento di presentarvi l'autore ospite della pagina 69, che grazie al suo libro, ambientato tra la Toscana odierna e la Scozia del VII sec. D.C. effettueremo un viaggio su tre dimensioni. Ecco qui I tre Regni di Francesco Tenucci.
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Pagina 69
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Ricordo che la rubrica è stata ideata da Ornella di Peccati di Penna.
I TRE REGNI -FRANCESCO TENUCCI
Prezzo: € 16,90 (ebook € 3,11)
Editore: GDS
Pagine: 330
Pubblicazione: 14 Marzo 2018
Un uomo potrà scoprire un nemico nascosto, impensato e inimmaginabile parassita del suo animo da tutta la vita, incontrandolo unicamente in un’altra dimensione: nel mondo fantastico degli eroi. Sarà il primo passo che lo spingerà a inoltrarsi nei segreti della memoria, ove si rintana una ve-rità perduta e sconvolgente. Per potersi avvicinare il più possibile, il protagonista dovrà allontanarsene nella maniera più estrema e radicale. Ecco, così, che il protagonista toscano dei nostri giorni diviene Aonghas, capo clan nella Scozia favolosa del settimo secolo D.C., ove è trasportato senza sapere come, senza intuirne la ragione, per compiere una missione di cui ignora il progredire e perfino la meta. Ne viene inconsapevolmente avviluppato per consentire al suo nemico di accedere alla nostra epoca, usandolo come un ignaro portatore. Eppure, quel nemico, che vive nel sogno, l’ha realmente già violato. In un tempo così lontano e dimenticato che, solo nella leggenda, il protagonista potrà trovare la via per smascherarlo, affrontarlo e sradicarlo da se stesso.
ESTRATTO
CAPITOLO XVI
Lei
Lei
D'un tratto mi apparve una finestra. Era grande, formata da due battenti interamente ricoperti di rame lucido. Il sole, o un'altra luce, si rispecchiava su di essi, proiettandovi scene ed immagini che non comprendevo e che si ripetevano lontane eppure vivide. Fatti che non mi vedevano come protagonista, ma che, pure, non mi erano del tutto estranei.
Di nuovo risuonò la voce di Lei che mi invitò: “Vieni”.
Mi ritrovai all’asciutto, seduto in un prato luminoso, in parte occupato da un albero che si stagliava tra me e il cielo. Era immerso nella stagione invernale. Privo di foglie. Un ramo si dipartiva dal tronco in diagonale, ed immediatamente attrasse la mia attenzione a causa della marcata, innaturale foggia umana che aveva assunto.
“Ecco”, ella mi disse indicandolo, “tu sei quello. Vieni. Adesso seguimi”.
Io non capivo e non riuscivo neanche a distinguere la figura che mi si rivolgeva in modo tanto affabile, quanto irresistibile, eterea e danzante nella luce del mattino, di cui sembrava composta. Colsi solo, in un lampo, la visione di una lunga chioma quasi albina e di una veste di un pallido grigio perla, eppur viva e smagliante, che volteggiava intorno ed oltre il mio sguardo abbagliato e la mia vista fattasi, d’un tratto, imprecisa.
Mi arrampicai, seguendola, lungo il pendio di un colle rivestito da un manto d’erba morbido e lucente, fresco e cedevole al mio passo, mentre, alle spalle, udivo il cupo rimbombo della risacca che si frangeva al di là del limite, nel mondo del tempo. Mi girai come richiamato indietro dal quel rombo, ma nulla si poteva scorgere oltre un nebulizzato velo sfavillante. Eppure... eppure qualcosa di scuro si era staccato dalla riva, tuffandosi dietro uno scoglio. Un brivido mi colse. Possibile che il nero serpente avesse trovato un varco? E chi altri, allora, se non lui? Ma Ella mi invitò ancora: “Non ti devi preoccupare di lui. Vieni, ti dico”.
Avrei tanto voluto chiederle a chi si riferisse, ma ogni volta che solo pensavo di rivolgerle la parola, la voce mi smoriva ed un groppo mi saliva alla gola. Tacqui, ed abbandonai ogni timore, completando l'ascesa, ma, allorché giunsi alla sommità del colle, ogni luce si spense, ed uno spettacolo d'orrore m'avvolse gettandomi nella costernazione.
Una profonda vallata delimitata da alti e crudeli picchi ammantati d’ombra, che la cingevano senza possibilità di essere valicati, si stendeva a perdita d'occhio. Scabra, spietata, quasi oscena nella sua indecorosa nudità, era cosparsa da uno stuolo brulicante di brancicanti cadaveri moventi. Oscuri, rinsecchiti, come riarsi, creature affamate e dimenticate; eppure, se si trovavano là, non potevano essere dei dannati. Di chi mai poteva trattarsi?
“Essi sono i dimenticati”, rispose al mio tacito quesito.
“I dimenticati? Da chi?”, trovai appena la forza di mormorare.
“Da tutti. Da loro stessi, prima ancora che dalla discendenza”.
La paura mi assalì, ma ella mi rassicurò: “Tu non temere. Tale non è il destino riservato a te. Tu non sei mai fuggito da te stesso e per ciò, gli uomini non fuggiranno da te. Vieni”. S'involò, lasciando dietro di sé una sfolgorante scia dorata laddove il suo manto, ora nero, scivolava fluente, benevolmente lambendo l'atmosfera di attesa e di angoscia che si levava dalla vallata e che pareva fremere al suo passaggio, come a un tocco di soave consolazione ad un avvilente dolore. Una pena che, per quanto avvampante e attossicante, non riusciva a vincere la leggiadria e la potestà racchiusa nella celeste apparizione.
FRANCESCO TENUCCI
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