Il vincitore di quattro premi Oscar (Miglior Film, Miglior regia, Miglior film straniero e Miglior sceneggiatura originale) e della Palma d’Oro, dei BAFTA, dei Golden Globes … beh, non finirei più di elencare tutti i premi vinti dal film di Bong Joon-ho! Quindi andiamo dritti al sodo con la recensione di questo capolavoro ora disponibile su Sky.
Scheda Film
Ki-woo vive in un modesto appartamento sotto il livello della strada. La presenza dei genitori, Ki-taek e Chung-sook, e della sorella Ki-jung rende le condizioni abitative difficoltose, ma l'affetto familiare li unisce nonostante tutto. Insieme si prodigano in lavoretti umili per sbarcare il lunario, senza una vera e propria strategia ma sempre con orgoglio e una punta di furbizia. La svolta arriva con un amico di Ki-woo, che offre al ragazzo l'opportunità di sostituirlo come insegnante d'inglese per la figlia di una famiglia ricca: il lavoro è ben pagato, e la villa del signor Park, dirigente di un'azienda informatica, è un capolavoro architettonico. Ki-woo ne è talmente entusiasta che, parlando con la signora Park dei disegni del figlio più piccolo, intravede un'opportunità da cogliere al volo, creando un'identità segreta per la sorella Ki-jung come insegnante di educazione artistica e insinuandosi ancor più in profondità nella vita degli ignari sconosciuti.
PARASITE
Non è mai sfuggito a nessuno che Bong Joon-ho ha un grande senso dell’ironia, né tantomeno ha cercato di nasconderlo. Forse proprio per questo Parasite è stato etichettato come black comedy, una commedia con un risvolto umoristico nero. Devo discostarmi da questa definizione, perché io ho trovato questo film angosciante, disturbante ed estremamente realistico. Tutto questo, insieme, fa di Parasite un piccolo capolavoro. È crudo nel suo racconto, non ha intenzione di salvare nessuno, ricchi o poveri che siano. Mostra le problematiche di famiglie e personalità che poco hanno a che fare con lo status sociale. C’è tanta inventiva nella famiglia Kim, composta dal padre Ki-taek (Kang-ho Song), la madre, Chung-sook (Hye-jin Jang), la figlia Ki-jung (So-dam Park) e il figlio Ki-woo (Woo-sik Choi). Vivono in un seminterrato, non hanno soldi, non hanno titoli, ma hanno talento, ognuno nelle proprie cose. In particolare, il figlio conosce benissimo l’inglese, mentre la figlia è abilissima nella grafica e nel disegno.
La vita di tutta la famiglia inizia a cambiare quando un amico di Ki-woo propone di sostituirlo durante il suo soggiorno all’estero per impartire lezioni di inglese alla figlia di una famiglia molto ricca per la quale lavora, i Park. Dopo alcuni dubbi dovuti alla differenza di classe con la famiglia in cui dovrà “infiltrarsi”, mentendo sulla laurea che non ha mai preso, il ragazzo si fa aiutare dalla sorella nella falsificazione di alcuni documenti. Da quel momento in poi, l’intera famiglia Kim cercherà il modo di farsi assumere dai Park.
Questo è tutto ciò che si può svelare sulla trama di Parasite. Se andassi oltre, direi il perché dell’aggettivo “disturbante” che gli ho attaccato a inizio articolo. Tuttavia, si può analizzare molto. Innanzitutto perché il film è una cruda verità sui dislivelli sociali e sull’ipocrisia che essi comportano: non serve un titolo per dimostrare il valore di una persona, se si è naturalmente portati per qualcosa lo si è e basta.
Troppo spreco nei due ragazzi protagonisti del film, che niente hanno da invidiare ai loro coetanei laureandi, ma che non possono permettersi di seguire i costosi corsi e, dunque, di essere presi in considerazione dal mondo. Succede ogni giorno, da ogni parte. Ma chi definisce migliori i benestanti? In realtà nessuno, dato che i benestanti – almeno in questo film – sono persone credulone e non troppo sveglie.
Chi sono i parassiti, dunque? Tutti. Parassiti coloro che vengono spruzzati di disinfestante dalla strada sopra il proprio seminterrato, trattati come insetti di nessun conto; parassiti quelli che assumono secondo titoli e non qualità comprovate, che comprano le persone scambiando il loro servizio con la loro vita, credendo di possederli di diritto. I personaggi sono presentati su livelli diversi, tanto che l’arrivo in casa Park del figlio dei Kim rappresenta quasi l’ascesa verso l’Eden, Paradiso di luce, giardini e serenità.
Ci sono molte religioni nella Corea del sud, e non sappiamo se Bong Joo-ho ne segue una o nessuna; di certo sembrano proprio esserci tanti riferimenti religiosi nel film, dalla scalinata che porta a un livello “migliore” di vita, alla pietra tanto discussa (anche se il regista ha fatto intendere che ognuno deve dare un proprio significato ad essa). E poi quei paesaggi che si vedono dalle finestre, così spogli e infernali dal seminterrato e così paradisiaci dalla casa dei Park. C’è anche una sorta di diluvio universale, abbastanza giudicante se visto in quale punto del film è stato inserito.
Che si tratti di religione o no, il significato cambia poco, perché Parasite racconta l’ipocrisia della vita, il sopruso che non può essere sostenuto in eterno, il marcio che è dentro tutti noi, nessuno escluso. Rancori covati, quel posto a cui crediamo di appartenere – perché, in fondo, ci abbiamo fatto l’abitudine – e la vita che è sempre più forte di qualunque decisione o previsione umana, come se mettesse tutto al proprio posto in ogni caso.
Quella “puzza” che ci portiamo addosso, per cui ci giudicano ancor prima di conoscerci, non è così diversa dagli stereotipi che anche noi usiamo per definire gli altri. E poi, altro grande discorso presente, la fiducia riposta in persone che forse non conosciamo affatto. La verità è che nessuno conoscerà mai l’altro completamente, ci sarà sempre un’ombra che non è possibile mostrare.
Parasite mostra che va bene così, perché siamo come in balia di eventi ciclici e bilanciati nell’universo.
Che altro dire, Buona visione!
Visto ed apprezzato tantissimo, la recensione tuttavia devo ancora pubblicare, però posso già dire che al momento è il miglior film visto quest'anno ;)
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