L’attesissimo film di Chloé Zhao è finalmente approdato su Disney + fresco di tre statuette come Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Attrice Protagonista che hanno fatto seguito a tantissimi altri prestigiosi premi.
Scheda Film
Empire, stato del Nevada. Nel 1988 la fabbrica presso cui Fern e suo marito Bo hanno lavorato tutta la vita ha chiuso i battenti, lasciando i dipendenti letteralmente per strada. Anche Bo se ne è andato, dopo una lunga malattia, e ora il mondo di Fern si divide fra un garage in cui sono rinchiuse tutte le cose del marito e un van che la donna ha riempito di tutto ciò che ha ancora per lei un significato materico. Vive di lavoretti saltuari poiché non ha diritto ai sussidi statali e non ha l'età per riciclarsi in un Paese in crisi, e si sposta di posteggio in posteggio, cercando di tenere insieme il puzzle scomposto della propria vita.
NOMADLAND
Adoro questa parola: nomadland. Perché
significa nomade, ma se si scompone può diventare no mad land, arbitrariamente
tradotta come “non una terra di matti”. Essere con i piedi per terra –
letteralmente – significa avere un rapporto vicino alla terra su cui cammini e
su cui ti sposti, e allo stesso tempo essere realisti. Mi piace perché, nel mio
immaginario, le persone che si spingono fuori dalla società e dalle sue
convenzioni sono quelle che cercano il contatto con la natura e con sé stessi, con
le origini, e non sono loro i folli. Loro, non vivono nella terra dei matti,
forse quelli siamo noi. Nomadland di Chloé Zhao, un film saltato fuori dalla
Mostra del Cinema di Venezia e premiato con il Leone d’Oro, si basa sul libro
di Jessica Bruder dal titolo Nomadland. Un racconto d’inchiesta, e mostra la
vita dopo il collasso economico di una città del Nevada. Protagonista è Fern
(Frances McDormand), che abbandona ogni cosa per seguire una scelta tutta nuova
dopo la morte del marito.
Un tempo, i viaggi verso la frontiera rappresentavano
la conquista di un territorio in cui le regole e le leggi non erano ancora
arrivate, un’espansione, la concreta possibilità di realizzazione. Mettendo da
parte per un attimo l’altro oscuro lato della medaglia che vede protagonisti i
nativi americani, la conquista dell’Ovest ottiene nel riferimento moderno un
nuovo significato, ma ci torneremo più avanti. Prima è necessario parlare di Fern
e degli altri nomadi, solitari e al tempo stesso uniti dal comune desiderio di
libertà. I momenti di convivialità e amicizia mostrati nel film sono puri, perché
privi di secondi fini. Le strade dei protagonisti, del tutto autonome, si
incontrano per qualche istante, permettendo la condivisione della propria
esperienza, che arricchisce e aiuta. Durante il film incontriamo dei veri
nomadi, come Linda May, Swankie e Bob Wells. È anche grazie a loro che si pone
l’accento su una parte molto importante della storia: “essere nomade è una
scelta, non una circostanza”, ha dichiarato Swankie. Bob Wells, famoso per i
suoi video su YouTube e il suo libro How to live in a car, van or RV, ha
dichiarato: “Ero un vagabondo senza tetto che vive in un furgone. Era un
periodo molto, molto brutto della mia vita. E poi è accaduta una cosa strana:
mentre risolvevo tutti i problemi e trovavo tutte le soluzioni, mi sono
innamorato della strada, della libertà. Avevo fatto tutto ciò che la società mi
aveva detto di fare: avevo trovato un lavoro, mi ero sposato, avevo avuto dei
figli, avevo comprato una casa… ma non ero mai stato felice. E poi ho fatto l’esatto
opposto di ciò che la società mi aveva detto, e per la prima volta mi sono
sentito felice. E questo mi ha spinto a mettere in discussione tutto”. Questa
dichiarazione mette in luce un aspetto fondamentale del film, ma anche di noi
stessi: la felicità. Essa è raggiungibile in infiniti modi, tanti quanto sono
le creature su questo pianeta. Ma è strettamente e indissolubilmente legata a
qualcos’altro, per tutti: la libertà. Primo Levi usò la parola nomade proprio
accostandola alla libertà: “era un uomo nomade e libero, lieto dell’aria che
respirava e della terra che calcava”.
Tornando alla conquista dell’Ovest,
iniziata nel 1849 quando un minatore scoprì un filone d’oro dando il via alla “febbre
dell’oro”, risulta evidente quanto il cammino sia lo stesso, ma la finalità sia
l’esatto opposto. Oggi chi prende una decisione come quella di Fern e degli
altri protagonisti non si muove in cerca di una vita economicamente migliore,
al contrario. Il desiderio è quello di spogliarsi di tutto ciò che la società
ha imposto, di allontanarsi dalla tossicità del sistema e del denaro, di ritrovare il
rispetto per sé stessi, per la natura e per gli altri. Rispetto che mostra ancora
una grande differenza con ciò che successe nell’800, perché il cammino moderno
dei nomadi è solo un passaggio, un arricchirsi spiritualmente senza calpestare
niente e nessuno. Mi sono chiesta durante la visione del film come mai non
fossi mai stata pervasa da un senso di tristezza, del resto stavo guardando
delle persone che non avevano niente, che vivevano di stenti, degli outsider.
Al contrario, provavo un senso di sollievo nel vedere come loro non fossero
legati ad oggetti, figli della società di consumo, ma vivessero di emozioni
derivate dalla libertà, dalla natura e dalla sincera compagnia degli altri. Poi
ho capito che la loro non era solo una storia di persone schiacciate dalla società,
ma di un risveglio e di una scelta consapevole. Più di una volta Fern - e non solo lei - ha rinunciato a un tetto sulla testa, all'aiuto di un parente o un amica, e lo ha fatto per scelta. Dunque, come poteva essere triste questa consapevole e voluta libertà? La rabbia, però, rimane. Per quel sistema che sfrutta, che ingabbia e abbandona quando non servi più, che incanala in scelte imposte. Ma a loro
no, ai protagonisti di questa storia non interessa, non ne hanno bisogno. E questo mi porta un gran senso di
pace. Nomadland può sembrare estremo, assurdo, ma mostra la realtà. Può
sembrare soltanto un quadro, una piccola parte della società, ma rappresenta
tutti. E urla di svegliarsi, di riprendere in mano la propria vita e la propria
felicità.
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