Buongiorno gattolettori,
ecco qui la recensione del libro di Luca Ward "Il talento di essere nessuno" edito Sperling & Kupfer.
Non perdetevi questo post perchè Annalisa ha una bellissima sopresa per tutti gli amanti di Luca Ward.
Editore: Sperling & Kupfer
Prezzo: € 17,00 (ebook € 9,99)
Pagine: 256
Uscita: 30 marzo 2021
Ha dato la voce a Russell Crowe nel Gladiatore, a Samuel L. Jackson in Pulp Fiction, a Pierce Brosnam in James Bond, e anche a Hugh Grant nel Diario di Bridget Jones. E questo solo per citare alcuni nomi. Luca Ward è senza dubbio il più celebre doppiatore italiano, ma è anche molto di più. È un attore di straordinario talento che ha calcato palcoscenici leggendari e che è diventato un volto noto del piccolo schermo per aver preso parte a fiction di successo come Centovetrine ed Elisa di Rivombrosa. Il pubblico lo ama e lo segue con grandissimo interesse sui social, dove raccoglie più di un milione di fan grazie alla sua ironia e alla sua genuinità. Ma la verità è che di lui si sa molto poco. L’adolescenza difficile, gli amori appassionati e il legame indissolubile con il mare: per la prima volta, Luca Ward si mette a nudo. Un libro sorprendente che racconta, attraverso aneddoti e ricordi, tutta la verità sul mondo del cinema e del doppiaggio, e che non risparmia il lato più intimo e privato di Luca Ward. Una storia che diverte e commuove in tutti i modi possibili.
È al primo posto nelle classifiche di vendita, meritatamente. Perché Luca Ward, voce e volto notissimo al pubblico, è una persona semplice, aperta, spontanea, un signore come pochi. I suoi ammiratori lo conoscono bene, perché da sempre ha instaurato un bel rapporto con chi lo segue, senza mai sottrarsi a un sorriso, a una battuta, a una foto o a un post coinvolgente. E proprio quando abbiamo davanti persone così, ne vogliamo sapere sempre di più. Però il suo libro Il talento di essere nessuno, pubblicato da Sperling&Kupfer, è sì una biografia, ma non solo.
Dedicato a tutti quelli che credono di non farcela, Luca parla direttamente a noi dimostrando che invece è possibile farcela, eccome. Perché Luca è il primo ad aver avuto una vita piena di soddisfazioni, certo, ma non per questo facile. C’è stato tanto: tanto amore, tanto talento, tanto successo, ma anche tanto dolore. Eppure si va avanti, sempre. Niente ci viene regalato, ci vuole culo, è vero, ma il più lo facciamo noi. Con questa schiettezza Luca si racconta, dedicandoci la sua storia che ispira, che fa sorridere, e che a volte fa scendere una lacrimuccia sul viso. Diviso in quattro parti, la lettura piacevolissima si apre con una frase: “Mio padre, il mare e io”. Questa frase rappresenta l’origine, la costante che unisce, e il presente; tutti e tre collegati da questa piccola e immensa parola come “mare”. È lui che ha sempre unito le generazioni della famiglia Ward, a cominciare dal nonno William Jim Ward e dalla sua vita più sull’acqua che sulla terra ferma. Si parla della famiglia, del padre Aleardo, della mamma Maresa, di amore, di matrimonio, di figli e della sua amata Roma.
E poi si passa agli innumerevoli lavori che Luca ha svolto prima di diventare attore e doppiatore, con aneddoti meravigliosi, frasi che rimangono nella mente, e si sorride anche tanto. Si prosegue con il racconto della carriera sul set e nelle sale di doppiaggio, e anche qui, durante la lettura, è inevitabile chiedersi come abbia fatto Luca a fare tutto questo! I successi sono tanti, la fatica dietro tutto questo anche. Il cerchio si chiude, nel quarto capitolo, con un ritorno alla famiglia, questa volta quella che si è costruito. Dopo le origini, il racconto prezioso è su sua moglie, sui suoi figli. Ciò che emerge con forza dalle parole di Luca Ward nel libro è l’immenso amore che ha avuto la fortuna di ricevere nella sua vita, e che proprio per questo è in grado di dare.
È una persona che ha raggiunto tanti traguardi, che ha vinto, e che ancora ha davanti a sé un percorso pieno di soddisfazioni. In tutto ciò, è rimasto umile. Stupisce questa sua umiltà, la sua forza, il sorriso sulle labbra che si percepisce anche nella lettura. È ironico – e, importantissimo, anche auto-ironico –, di indubbio talento, senza peli sulla lingua, con una forte consapevolezza del suo passato, delle sue origini e degli insegnamenti ricevuti. Le sue parole, così chiare e dirette, non possono che suscitare delle domande su noi stessi durante la lettura: ci si chiede se anche noi abbiamo un legame così forte con il nostro passato, fondamentale per conoscere chi siamo oggi; se davvero non siamo stati in grado di arrivare dove avremmo voluto o se ci siamo adagiati nelle scuse; se risparmiamo le parole e i gesti gentili, se ci facciamo distrarre dalla mancanza di tempo, se ci siamo dimenticati che esiste tutto un mondo fuori da noi stessi.
Il talento di essere nessuno piace perché è vero, schietto, diretto, per tutti. Si sente ancora il ragazzo di Ostia in ogni parola, e poi anche l’artista e la maturità di un uomo che ne ha viste proprio tante. Sono sicura che ci sarebbe ancora tantissimo da raccontare, che non basterebbero dieci volumi per esaurire le storie e i pensieri di una persona così eccezionale. E, lasciatemelo dire, il mondo avrebbe bisogno di più persone come Luca Ward. Leggete il libro, e lo penserete anche voi.
Sei da sempre molto generoso con i fan, che ringrazi anche nel libro e ai quali dedichi più di qualche parola. Come mai hai deciso, a un certo punto della tua vita, di scrivere un libro?
Ogni tanto le case editrici propongono sondaggi per capire quali biografie possano interessare al pubblico, e io ero al primo posto. Ma sondaggio a parte, la verità è che il legame che ho con il pubblico mi ha spinto a scrivere questo libro. È nata così, e ha preso forma con Mariano Sabatini, il giornalista che mi ha aiutato a scriverlo. Gli ammiratori, come mi piace chiamarli, ricorrono sempre nelle mie parole perché ho un rapporto molto forte con il pubblico. Molti di loro li incontro, a volte ci prendiamo un caffè prima dello spettacolo, e spesso arrivano increduli all’appuntamento. È una cosa che ho imparato da Laura Pausini: a un concerto di Radio Italia lei si rivolgeva a parecchie persone sotto al palco come fossero amici di vecchia data. Li chiamava per nome, chiedeva cose tipo: “Come va la caviglia? Stai meglio?”. A un certo punto le chiesi se effettivamente conoscesse tutte quelle persone, e lei mi ha risposto: “Certo, Luca! Ho un rapporto molto bello con i miei ammiratori. Ovviamente non li conosco tutti, ma ogni volta che posso li incontro e parlo volentieri con loro”. Io ho seguito questa strada perché la condivido, il pubblico ha bisogno di attenzione e rispetto. E senza di loro noi non saremmo nessuno.
Ricorre nel tuo libro una graditissima attenzione verso la gentilezza e
il rispetto che alcune persone, fortunatamente, conservano ancora oggi verso
gli altri. Tra tutte, ho apprezzato molto il racconto relativo a tuo padre,
Aleardo Ward, il quale non ha pensato due volte ad abbandonare il set di
Strehler in seguito a un’ingiustizia del regista verso una terza persona,
dicendo: “Io e lui non abbiamo niente in comune”. Perché è fondamentale?
Mandare a quel paese Strehler… ce ne vuole! Ma mio padre l’ha fatto. Alcuni registi avevano un modo maleducato di trattare gli altri, mio padre era un giusto e se ne andò. Non era un attore famoso, ma era molto stimato e di talento. Non ho mai trovato una persona che ne parlasse male, dicevano che era un grande signore, con un senso di lealtà e giustizia altissimi. Dove vedeva l’ingiustizia non poteva stare fermo, e io sono come lui, non si può rimanere indifferenti. Tanti anni fa non era così il nostro ambiente, era più vero, più sincero; i veri signori sono rimasti pochi. De Sica, Leone, erano dei signori, e Kubrick ci batteva le mani al termine di ogni scena.
Tre parole: mare, arte e amore. Sono quelle che, per me, rappresentano maggiormente il tuo libro, le tue storie, i tuoi punti fermi. Il mare è incredibilmente presente nella tua vita, da sempre, spesso in modo burrascoso; con l’arte hai avuto un approccio delicato, forse tardivo, ma ti ha rincorso e scelto per tutta la vita; l’amore che hai ricevuto e che hai dato si percepisce chiaramente attraverso le tue parole.
Il mare rappresenta la vita, vengo da una famiglia di marinai. Sono un ottimo marinaio, un pessimo attore. Ho imparato a conoscerlo, a temerlo, quando si arrabbia lo fa per davvero. Io appena posso vado a mare, è la prima cosa che faccio. È un insegnante di vita, ha regole non scritte ma chiare. L’arte, è vero, l’ho amata dopo. All’inizio non ero un appassionato, ma crescendo e maturando rimani affascinato. In Italia l’ho conosciuta grazie ai turisti in giro per Roma. Dici: il Colosseo, due mattoni. Manco per niente! Il nostro paese ha una sensibilità e artisticità enorme, io abbraccerei il Colosseo, il Pantheon, il Foro Romano, se potessi. Per quanto riguarda la terza parola, l’amore, sono stato fortunato, perché ho incontrato sempre persone molto belle. E visto che ho ricevuto tanto amore, lo rimando agli altri. Fare un gesto carino verso una persona, tra l’altro, mi ritorna come una medicina. Spesso se qualcuno mi ha emozionato, magari con uno spettacolo, devo dirglielo. L’altra sera ho visto Sono tornato, di Luca Miniero con Massimo Popolizio che interpretava Mussolini. Era un ruolo molto difficile, io l’ho chiamato quella sera stessa per complimentarmi. Era stato troppo bravo per non dirglielo. È rimasto piacevolmente sorpreso, perché quelle telefonate non le fa più nessuno. Io le continuo a fare, la parola buona va sempre detta.
Si percepisce che di insegnamenti dalla vita ne hai avuti tanti, ma io
voglio soffermarmi su due in particolare citati nel libro: la storia del caffè che
vi ha salvato la vita e la scoperta dell’infedeltà durante il tuo lavoro estivo
di bagnino.
La storia del caffè è incredibile. Ci trovavamo in Medio Oriente, su un camion che trasportava bulloneria d’acciaio. Io e Massimiliano, il capo camion, avevamo un problema all’impianto frenante e ci siamo dovuti fermare. Improvvisamente, ci siamo trovati alle spalle degli uomini a cavallo. Io avevo paura, mentre lui con una tranquillità estrema ha sventato una rapina. Con un gesto di rispetto – perché non era il nostro territorio – ha preparato il caffè per quei signori, e gliel’ha offerto. Parlavamo a gesti, ma hanno apprezzato molto. Dopo il caffè, ci hanno salutati e se ne sono andati. Incredibile. Mi ha insegnato tanto, al punto che anni fa, in Kurdistan, mentre attraversavo la Turchia col camper, mi è successa una situazione simile e sono stato in grado di affrontarla. Mi avevano detto di comportarmi in un certo modo, per via della situazione difficile tra i governi, di ricordarmi di riconoscere il territorio. A un certo punto, su una stradina stretta, arrivano tre uomini armati di fucili. Ho detto subito a Claudia, la mia prima moglie, di darmi i passaporti. Li ho dati a uno di questi uomini armati, che mi ha guardato, mi ha sorriso e me li ha restituiti. Con quel gesto riconoscevo lo stato del Kurdistan. In più siamo stati tempestati di doni e ci hanno fatto pure ubriacare! Per quanto riguarda l’infedeltà, invece, l’ho scoperta durante il mio lavoro da bagnino. Quando sento “io non tradisco”, non ci credo. Ci imponiamo di essere fedeli, quello sì. Per un fatto di rispetto. Ma la natura dell’uomo e della donna non è questa.
Parli di due grandi direttori del doppiaggio, Pino Locchi e Pino Colizzi. Parli anche di Gigi Proietti. Personalità fortissime, visionarie, uniche. Una potenza e una genialità che sembra mancare sempre di più al cinema italiano e, in generale, un po’ ovunque di questi tempi. Perché?
Per l’umanità di queste persone che hai citato e molte altre. Erano diverse tra loro, ma una cosa che li accomunava era l’umanità, il poter dialogare, stare insieme, raccontarsi. Proietti è sempre stato un grande dialogatore, era una gioia fare le 5 di mattina con lui che ci raccontava storie di vita vissuta, aneddoti, esperienze. E la stessa cosa Colizzi. Locchi non lo faceva nei ristoranti e nelle osterie, ma nelle sale doppiaggio. Per noi giovani era meraviglioso sentire i racconti di questi uomini più grandi, trarre insegnamento dalle loro esperienze, scherzare con loro. Si parlava tanto di sociale, di politica no. Tanto, di politica, di che vuoi parlare? Non ha senso. Ciò che si faceva, e che adesso non si fa più, era partecipare: gli italiani partecipavano all’attività politica del palazzo e a tutto quello che era considerato fondamentale per la nostra società. La commistione tra politica e popolazione è stata fondamentale per il Paese, per la sua crescita. Da 20 anni si è interrotta, forse perché non si riconosce più nella politica il ruolo che dovrebbe avere, qualcosa di visionario, che sa guardare avanti, in grado di dare una mano. E quindi si è interrotta, e ci siamo impoveriti tutti. La nazione, la politica. Credo che se non siamo noi a suggerire, la politica non può ascoltare. Bisogna partecipare, essere operativi, e bisogna scendere in piazza, non sui social. La voce parla chiaro: se esprimo un concetto a voce, tutti mi capiscono, per messaggio no.
Vorrei chiudere anche io, come hai fatto tu, con il grande amore della tua vita: la tua famiglia. I tuoi figli Guendalina, Lupo e Luna (nomi molto curiosi) e poi tua moglie Giada. Si sente nelle tue parole l’amore grandissimo che vi lega.
Il nome Lupo nasce da una vecchia storia: anche io dovevo chiamarmi Lupo, ma a mamma non piaceva. Luca significa “luce”, ma Lupo è colui che tiene il branco. Mi piaceva tanto, ho incontrato altre persone con questo nome e l’ho voluto fortemente per mio figlio. Luna appartiene alla mia generazione, siamo quelli dell’allunaggio; per noi ragazzi è stato fantastico, ricordo perfettamente quella notte in cui mio padre ci svegliò per vedere l’allunaggio. Ricordo anche la sua preoccupazione: era elettrizzato, ma nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto nel momento in cui un uomo avrebbe messo per la prima volta piede sulla Luna. Quindi Luna rappresenta qualcosa di magico, di indimenticabile. E poi, il lupo ulula alla Luna. Ho dei figli straordinari, sono delle spugne, come tutti i ragazzi del resto, e siamo noi genitori a dovergli dare i giusti insegnamenti. A casa mi chiamano 007 perché faccio la spia, ma allo scoperto. Ho sempre detto: “Ragazzi, io vi controllo i telefoni”. Una volta al mese guardo dove vanno, cosa fanno, che siti visitano. Lo faccio perché gli ho già spiegato come funzionano i social e la tecnologia, se vedo qualche sito strano chiedo chi gliel’ha consigliato, loro capiscono e smettono di visitarlo. Me l’hanno insegnato i miei genitori, mi hanno sempre spiegato come funzionano le cose per mettermi nella posizione di capire e di agire di conseguenza. È fondamentale fare lo stesso con i nostri figli. Guendalina, la mia prima figlia, mi ha cambiato la vita. Sono diventato padre molto presto, però io e Claudia siamo stati fortunati, perché i suoi genitori ci hanno insegnato a essere genitori. E abbiamo cresciuto nostra figlia, bellissima, che ancora oggi è un faro per noi e per i fratelli. Giada è un monumento perché, come dice Alessandro Preziosi, è “tanta in tutto”. Mi dice anche che c’ho avuto più culo che anima, e ha ragione. Quando abbiamo saputo che Luna ha una brutta malattia, Giada non ha esitato a ritirarsi dalla carriera che amava tantissimo. Sapeva che Luna andava seguita, e altrettanto Lupo. Mi ha detto che avrei dovuto proseguire con la mia carriera, e non sono servite a niente le mie infinite opposizioni. Ma la capisco, non riusciva più a stare sul set senza pensare ai nostri figli, voleva essere lì con loro. È stata un’enorme rinuncia, sia da parte sua che per il cinema italiano, ma l’ha fatto per un gesto d’amore gigantesco e lo rifarebbe senza pensarci due volte.
Nessun commento