Eccomi nuovamente qui readers,
è arrivato infatti il momento della Rubrica dedicata ai nostri autori emergenti, Pagina 69.
Ci tengo però a dire che l'autrice di oggi non è proprio emergente eheheh sul Blog ecco che abbiamo come ospite Marco Peluso e il suo libro: "Piciul".
Sia per la pagina 69 che per la segnalazione dovrai inviarmi il seguente materiale:
- Libro da segnalare
- Piccolo estratto a piacere del libro
- Biografia
- Foto autore/autrice o qualcosa che vi rappresenti
Avviso: Tutte le email sprovviste di questo materiale non saranno neanche prese in considerazione
Ricordo che la rubrica è stata ideata da Ornella di Peccati di Penna.
Prezzo: € 16,00
Editore: Linea Edizioni
Pubblicazione: 22 novembre 2021
Piciul racconta Napoli, che è fin troppo narrata, dal punto di vista di un gruppetto di ragazzini rumeni. Fra i tanti migranti che abitano la città come fantasmi, africani, cinesi, ucraini, filippini, peruviani, pakistani, certo i rumeni sono i più segreti. Ed è scomodo guardare il dolore che non si sana, i pozzi che non hanno alcuna luce al fondo, praticare la letteratura che non consola. Eppure una pulizia e una purezza è sempre salva nei ragazzini di questo romanzo, nel loro desiderio di crescere e salvarsi, di essere felici, di non tradirsi quando sono stati già venduti dalla Storia.
ESTRATTO
Tutti pensavano che Damin sarebbe morto giovanissimo, e forse avevano ragione. Sfrecciava nella notte in sella a una motocicletta. Non aveva la patente, ma non gli importava. In fondo nemmeno suo fratello Floris, più grande di lui di quattro anni, aveva la patente, ma era stato proprio Floris a insegnargli a guidare, e gli aveva insegnato a picchiare e a rubare. Gli avrebbe insegnato anche a uccidere, se lo avesse ritenuto un uomo.
Una volta l’aveva portato persino a sparare nella discarica di Pianura, ma a Damin la pistola era subito caduta di mano.
«Femminuccia!» aveva esclamato Floris, deridendolo insieme ai sui amici. E ora Damin, a cavallo della moto che aveva rubato soltanto per sentirsi forte come suo fratello, sapeva solo di non voler essere una femminuccia.
Aveva già fatto due mesi a Nisida per furto, sapeva bene che se l’avessero beccato di nuovo stavolta sarebbe stata la galera vera, quella dei grandi. Ma in fondo Damin si sentiva già grande, sarebbe morto per dimostrarlo.
Sfrecciò sfidando la polizia, la gente, il mondo. Rideva. Gli brillavano gli occhi, trafitti dai lampioni e dai fari delle auto fra cui faceva lo slalom. Si lasciava alle spalle negozi, persone, palazzi. Al suo passaggio insultava le puttane che battevano sui marciapiedi, sputava contro i barboni che giacevano sui gradini dei palazzi, mandava a fanculo gli ubriaconi che barcollavano in strada.
Per Damin tutto era pari a un’enorme, gigantesca scenografia. La sua stessa vita lo era. Era un’opera magnifica, potente, ma pur sempre una recita.
Sapeva che non sarebbe mai stato come suo fratello, e ne era terrorizzato.
Suo padre Petru, criminale che, come Floris, lavorava per gli italiani, glielo ricordava ogni giorno a suon di pugni. La sola in casa con cui un tempo parlava era sua madre, Mirela, andata via quando lui aveva otto anni.
Damin a malapena la ricordava, di lei aveva impressa nelle pupille solo l’immagine vista la notte prima che sparisse: il corridoio buio, lei che usciva dalla camera da letto, il braccio teso nel vuoto, il volto sporco di sangue, le labbra che si muovevano in un urlo senza voce.
Il giorno dopo, suo padre gli aveva detto che era andata via, gli aveva proibito persino di ricordarne il nome.
Damin serrò i denti e accelerò. Arrivò al Fatima Phone Center. Lasciò a terra il mezzo, superò Alì senza essere fermato.
Il piano superiore era avvolto dal fumo. Al centro della sala, Piciul, Blanca, Vali e Dorin giocavano e strepitavano.
Appena Milon notò Damin sobbalzò. Lo seguì con lo sguardo, attento a ogni suo passo.
Damin, invece, vedeva solo Blanca e Piciul: l’immagine di loro due vicini era un proiettile che gli aveva trafitto i tessuti, fino a conficcarsi nel cuore ed esplodere.
Quella loro vicinanza gli dava un fastidio fisico. Si sentiva escluso, rifiutato, come quando da bambini Piciul e Blanca si mostravano a vicenda i regali ricevuti la mattina di Natale.
«Horia, guarda quant’è bella la mia nuova bambola.»
«Blanca vieni, andiamo a giocare con il mio nuovo pallone.»
Nel 2016 ha iniziato a studiare scrittura creativa con Antonella Cilento presso la scuola Lalineascritta, dove si è confrontato con figure editoriali quali Antonio Franchini, Giulia Ichino, Alberto Rollo, Manuela La Ferla, Laura Bosio e Bruno Nacci. Nella stessa scuola ha studiato scrittura drammaturgica con Stefania Bruno, mestieri editoriali con Stefania Cantelmo e Giuseppe D’Antonio e sceneggiatura con Francesco Costa: materia studiata anche presso la Pigrecoemme prima con Massimiliano Virgilio, poi con Rosario Gallone.
Due sue racconti sono stati pubblicati sul quotidiano Il Roma. Nel 2019 ha partecipato all’antologia Il grande racconto di Renoir, edita da Edizioni della sera. Nel 2020 è stato curatore e autore dell’antologia Bambini in pausa, pubblicata da Meligrana editore. Nello stesso anno un suo racconto è stato pubblicato sulla rivista Micorrize; l’anno seguente un altro racconto è uscito sulla rivista Salmace.
A novembre è uscito con Linea edizioni un suo romanzo, Piciul, prefazione di Antonella Cilento.
Editor freelance e ghostwriter, ha diversi progetti di narrativa, teatrali e cinematografici in cantiere.
È innamorato di Victor Hugo e ha una vera ossessione per Georges Simenon.
Allora che cosa ve ne sembra? Vi ho incuriosito?
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