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CINEGATTO: THE WHALE E L'IMPORTANZA DI ESSERE ONESTI

Candidato a tre premi Oscar (miglior attore protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior trucco e acconciatura), The Whale è al cinema dal 23 febbraio. 


Scheda Film


The Whale, il film diretto da Darren Aronofsky, racconta la storia di Charlie (Brendan Fraser), un professore d'inglese che soffre di grave obesità e vive recluso in casa. L'uomo tiene corsi universitari di scrittura online, tenendo sempre la webcam spenta. Charlie ha perso ogni rapporto con il mondo esterno, compreso il legame con la figlia adolescente, Ellie (Sadie Sink), che non vede da diversi anni. L'unica persona che Charlie frequenta è Liz (Hong Chau), l'infermiera che lo aiuta con le medicazioni e le cure.
Dopo una diagnosi che attesta che a Charlie resta poco tempo da vivere, l' uomo decide di riallacciare i rapporti con la figlia per cercare un'ultima possibilità di riscatto. Nel frattempo nella sua vita entra anche Thomas (Ty Simpkins), un giovane membro della New Life Church che tenta di evangelizzarlo. La presenza di nuove persone - e soprattutto di Ellie - nella vita di Charlie porterà l'uomo a scavare nei propri ricordi e nei traumi che lo hanno portato a essere chi è oggi.

THE WHALE E L'IMPORTANZA DI ESSERE ONESTI

Abbiamo visto Brendan Fraser commosso dagli applausi del pubblico per la sua performance in The Whale, e possiamo capire il perché visto che ormai tutti conosciamo la sua storia. Da sex symbol ad attore senza parte, Fraser ha vissuto due vite e forse adesso si prepara a viverne una terza, si spera più serena. In The Whale interpreta un professore che impartisce lezioni via internet e che non vuole farsi vedere dai suoi studenti perché obeso. Ha un bisogno disperato di "verità" e chiede ai suoi allievi di scrivere non ciò che i professori vogliono sentire, ma la propria onesta opinione riguardo un libro, una poesia, qualsiasi cosa. Ha una figlia adolescente che non vede da anni e che ripiomba nella sua vita in modo violento e improvviso. Ha una migliore amica che è anche la sua infermiera, una ex moglie e un dolore immenso per la perdita del suo compagno. Charlie infatti ci viene presentato da subito con questi tratti: obeso, insegnante, omosessuale, depresso. Si è rassegnato a ciò che è, non vuole uscire di casa e non vuole andare avanti, o meglio, niente riesce a fargli credere che la vita possa essere migliore. Non c'entra l'amore, che è grande verso sua figlia, ma solo il dolore e la resa ad esso che sembra ormai un mostro gigantesco da combattere. 




Aronofsky è ancora invadente e claustrofobico, chiude lo schermo del cinema in una scatola in 4:3 in cui Charlie non riesce a stare. Troppo grande, enorme il suo corpo che non può mai essere contenuto e che viene tagliato fuori campo. Si oppongono le esili figure dell'amica e della figlia, determinate e con sentimenti contrastanti verso Charlie: da una parte l'amore e la cura per un essere fragile, dall'altro l'odio per l'abbandono. Il personaggio di Sadie Sink è prepotente, fin troppo scattoso e isterico, performance che non ho apprezzato particolarmente - soprattutto visto la bravura dell'attrice in Stranger Things. Essendo tratto da una piece teatrale, The Whale si concentra in un unico ambiente, lascia interagire il protagonista con dei personaggi che irrompono nel suo spazio, portando il loro carattere e i loro problemi dentro la sua casa. Charlie è un arreso, non solo perché stanco di vivere, ma perché la sua preoccupazione più grande riguarda la figlia e, in generale, il sapere di aver fatto qualcosa di buono nella sua vita. Vede il lato buono di ogni cosa, ha un innato ottimismo che riguarda solo gli altri; ma in cuor suo sa che non è tutto rose e fiori, che gli alunni forse non scriveranno mai cosa realmente pensano di opere considerate classici intoccabili, che la figlia forse non è così buona come sperava. Ma non importa. 




Nel complesso è un film che si fa seguire, che porta la firma di un regista inconfondibile, perché nessuno come lui riesce a ingigantire l'emozione che lo spettatore deve provare (se Aronofsky vuole farci provare disgusto, lo fa; se ci vuole far piangere, lo fa). Anche la performance di Fraser è ottima, eppure il pacchetto completo non è ciò che mi aspettavo. Da una parte abbiamo un film che ha la bellezza di due ore per scavare dentro un unico personaggio, pieno di problemi, che viene svelato al pubblico sia nei gesti solitari che nelle interazioni; però la sensazione alla fine è che poteva essere detto di più. Dall'altra parte abbiamo un attore bravo la cui performance è stata forse ingigantita dalla sua storia, ovvero: Fraser e Charlie hanno lo stesso sguardo, una grossa tuta in lattice li distingue. I loro occhi, le loro lacrime, l'espressione perennemente dispiaciuta appartengono tanto all'attore quanto al personaggio e, sinceramente, si va al cinema carichi di questa consapevolezza, emozionati dal sapere che la vita, per Fraser, non è stata facile. Siamo predisposti ad ascoltarlo e a commuoverci per lui, per loro, scendono le lacrime per lui e per Charlie. Alla fine però, quanto rimane di tutto questo?



                                          

1 commento

  1. Io sono davvero incuriosita da questo film e mi spiace che alla fine non ti abbia lasciato ciò che speravi!

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