Buongiorno Gattolettori,
in questo appuntamento musicale mi dedicherò a una piccola recensione del nuovo lavoro di Vinicio Capossela uscito il 24 febbraio e targato Capital Records, ovvero “La crociata dei bambini”.
Il cantautore, come sappiamo sensibile ai temi sociali e popolari, fa uscire questo suo nuovo lavoro precisamente a un anno dall’inizio dell’invasione Ucraina precisamente nella data del suo primo anniversario, a testimonianza di questo suo interesse, narrando il dramma della guerra e delle sue prime vittime, i bambini.
Il brano si rifà ad un testo dello scrittore tedesco Berolt Brecht che a sua volta compose “La crociata dei ragazzi” ambientato nella Polonia della seconda guerra mondiale, riprendendo un evento storico di epica medioevale riadattato, appunto, alle vicende dell’orrore del secondo conflitto globale e tramite il quale Capossela afferma di riprendere ‘lo spirito brechtiano’, l’antimilatirismo, e la denuncia dell’orrore della guerra come mietitrice della prima vittima, l’essenza stessa dell’innocenza, ovvero l’infanzia.
Il tema quindi è quello della guerra, del conflitto che distrugge e lascia solo macerie e che, oltre a mietere le vittime innocenti quali i civili e a spezzare vite di migliaia di soldati, distrugge l’innocenza dei più innocenti, i bambini.
Entrando nel merito del brano, la canzone è una ballata, lenta, estremamente dolce e malinconica, archi e pianoforte per il loro lato struggente e delicato accompagnano tutto il pezzo, con morbidezza e intensità alternate, a sorreggere o enfatizzare la narrazione.
La storia è quella di bambini che abbandonano i luoghi natii ormai distrutti, martoriati dall’orrore della guerra <<i soli scampati alle bombe>>, i visi gelati, partono per scappare e dare ai propri occhi la visione di altro rispetto a macerie e morte; nel loro viaggio Capossela li immagina “fare scuola” insieme, fare musica – ma sorda per il timore di essere scovati – ed in compagnia di un cane <<morto di fame>>.
L’animo dolce e struggente della musica riflette oltre che il carattere tragico del contesto anche un finale non a lieto fine, una realtà nuda e cruda che realisticamente non può che consistere nella morta, come si diceva, anche tra coloro tra tutti più innocenti.
Le parole del cantautore difendono inoltre in alcuni passaggi chi ruba per fame e per non morire nel niente lasciato da guerre e morte, e ricordano (forse critica di buonismo e parole vuote) che per sopravvivere in questi orribili scenari <<farina ci vuole, non solo bontà>>.
Tra le righe non manca l’attacamento del gruppo di infanti a Fede e Speranza, con “F” ed “S” maiuscole, qualcosa che colui di “sensibile al sacro” – come Capossela stesso si defnisce – non può non prevedere e seguire nella ricerca della salvezza, di una “terra di pace” – come recita il testo – cercata ancora anche una volta saliti in cielo, morti, dopo che <<nessuno più vivi li potè trovare>>.
La desolazione profonda è marcata infine dal destino del compagno di viaggio a quattro zampe dei bimbi, il quale girovagando con al collo il cartello <<Qualcuno ci aiuti, abbiam perso la strada, seguite il cane, e vi prego, non gli sparate>> non ebbe alcuna fortuna di trovare aiuti, così come i mittenti del messaggio, descrivendo amaramente il suo triste epilogo: << Un anno è passato, e nessuno è venuto, il cane soltanto è restato, a morire di fame >>.
La canzone di Capossela è un brano nel testo e nella musica capace di avere delicatezza e dolcezza – quella dei bambini e dell’innocenza – ma allo stesso tempo di essere fortemente cruda e sconsolata e capace di trasmettere il senso freddo, sconosolato, abbandonato del vissuto dei protanisti del triste cammino intrapreso.
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