Eccomi nuovamente qui readers,
è
arrivato infatti il momento della Rubrica dedicata ai nostri autori,
Pagina 69. Oggi sul Blog abbiamo come ospite Flavia Florindi e il suo libro: La libertà è una cosa seria
Sia per la pagina 69 che per la segnalazione dovrai inviarmi il seguente materiale:
- Libro da segnalare
- Piccolo estratto a piacere del libro
- Biografia
- Foto autore/autrice o qualcosa che vi rappresenti
Avviso: Tutte le email sprovviste di questo materiale non saranno neanche prese in considerazione
Ricordo che la rubrica è stata ideata da Ornella di Peccati di Penna.
Prezzo: Cartaceo € 18,00
Pagine: 256
Pubblicazione: 11 settembre 2024
Nell’immaginario romanzo di Flavia Florindi, Trieste è un mondo socialmente e politicamente diviso, uno più tecnologico e ricco, l’altro più arretrato e violento. In questo scenario seguiamo le vicende di Tommaso, un sedicenne pieno di rabbia nei confronti della madre, rea del tradimento del padre. Un giorno, Tommaso finisce nella parte sbagliata della città, cadendo accidentalmente dal muro a seguito di una bravata. Viene salvato dal vecchio guardaboschi Michele e da sua nipote Aligia, ma con l’arrivo dei contrabbandieri la situazione si complica e per il protagonista inizia una corsa verso la libertà che dovrà conquistare a caro prezzo. Comprende verità molto diverse rispetto la vita agiata che ha vissuto nella Trieste A, liberandosi da preconcetti e verità distorte. Un percorso doloroso ma ineluttabile di presa di coscienza e allo stesso tempo di conoscenza della verità sulla sua famiglia, via che lo potrà liberare dai propri fantasmi. Il romanzo prende spunto da fatti storici, come la divisione di Trieste in due parti, dai quali l'autrice ha preso spunto per affrontare il valore della libertà.
Ci sono paesi dove la libertà è solo una parola dentro il vocabolario e altri che le dedicano vie o monumenti per infischiarsene subito dopo; e poi c’è il Territorio Libero di Trieste, e nessun luogo è libero come la mia città.
Vuoi fumare marijuana a dieci anni? Qui puoi.
I tuoi genitori te lo proibiscono? Sono denunciati.
Desideri qualcosa? Nel Territorio Libero di Trieste hai il diritto di ottenerlo, purché rispetti la libertà degli altri. Non c’è posto più libero della mia città; per questo la amo e sono orgoglioso di esserci nato.
«Che fai, Tommaso?».
La voce impastata di Orso mi riscuote. Sbatto le palpebre e vedo che tengo alzata la Weisser all’indirizzo del Muro. L’ultimo d’Europa, in fondo a viale dei Diritti Universali. Guardo Orso di sbieco e sogghigno. Nell’aria nera e immobile sfrigola ancora l’odore di polvere da sparo dei fuochi d’artificio di mezzanotte.
Una biondina mezza ubriaca se la sta prendendo con il mio amico Achille perché ha la borsetta identica alla sua. Inciampa, fa casino, rovescia quanto resta del suo alcolico. Mi scanso per evitarla e ingoio un’altra sorsata di birra mentre allento i bottoni del colletto; sudo anche se la temperatura è sotto lo zero.
Pure l’atmosfera sta raffreddandosi. Rimpiango di aver accettato la proposta di mio zio di festeggiare il Capodanno con Giulio e i suoi amici. Anche loro sono irrequieti e un paio cominciano a offendere Achille. Sono ubriachi, lo so, ma non possono permettersi. Questo è contro le nostre leggi e contro il mio amico. Allora cammino da quella parte per difenderlo, ma una voce in mezzo alla compagnia propone un diversivo.
Una gara.
Chi arriva fino al Muro vince.
«Ma i caschi verdi sono autorizzati a spararci» piagnucola uno.
«Siamo liberi, no?» interviene una ragazza. Ha i capelli divisi in due metà esatte: da un lato bianchi, dall’altro verdi. «Se rispettiamo il principio dei cinque metri, non possono farci niente».
Borbottii, teste che dondolano, schiocchi di lingue. Questi hanno bisogno che qualcuno gli faccia vedere come si fa.
«Ci sto» dico a voce alta.
«Tom…» inizia Orso, ma divincolo il polso dalla sua presa.
Attraverso il ponte della Costituzione fino alla confluenza con il viale, dove brillano piccole luci rosse. I condomini affacciati sulla strada sono ancora animati alle quattro di notte. Dietro di me sento le voci alticce degli altri mescolate al picchiettio dei tacchi delle ragazze.
Supero l’ultimo edificio con l’eccitazione che scalda il fiato e mi addentro nella cintura di sicurezza, uno spazio a vista dove non è autorizzata a crescere nemmeno l’erba. Guardo la parete che ci protegge da oltre settant’anni: robusta, spiovente, un impasto di cemento e acciaio disseminato di sensori. Sopra le torrette agli angoli brillano i fari puntati sulla Repubblica Popolare di Trieste, la zona B: dovrebbero suggerirmi protezione, invece stuzzicano in me il gusto della sfida. Non ho idea se li usino ancora, se abbiano fotocellule o cosa. Ormai esistono i satelliti, quella è roba del secolo scorso, utile per scacciare gli animali e gli imbecilli. O quelli come me.
Avanzo, finché raggiungo il Muro. Allora, calo i pantaloni e inizio a pisciare. Dalle spalle arriva uno scoppio di applausi a conferma della mia vittoria. Sono euforico.
Poi un click, uno squarcio nel buio e mi ritrovo investito da un fascio di luce. Uno dei fari si è girato dalla mia parte.
«Vieni via, Tom!» urla Achille.
Io continuo l’opera, nel mio corpo c’è così tanta birra da innaffiare due o tre vasi. Tengo gli occhi volutamente socchiusi per non lasciarmi distrarre dal casino intorno: tonfi, cadute, bestemmie.
«Siete dei cacasotto!» strilla una voce alla mia destra. «Non ci possono fare nulla: lo dice la Costituzione che abbiamo il diritto di andare dove vogliamo!».
Però le fotocellule orientano davvero i mirini caldi su polmoni, fegato e cuore del sottoscritto.
«Tommaso!».
Tengo lo sguardo fisso alla sommità della torretta. Sono come ipnotizzato.
Uno strattone: è Orso, che mi tira il braccio quando i caschi verdi incaricati di sorvegliare il Muro escono dalle torrette.
«Corri, corri!» urla mentre raggiungiamo la sua macchina, parcheggiata lontana dalle altre. Quasi inciampo, non trovo l’orlo delle mutande da tirare su.
Sento
le mani di Achille sollevarmi e gettarmi dentro la Ford, il motore che raglia e
lo stridio degli pneumatici sulla ghiaia. La macchina imbocca la discesa,
percorre il rettilineo del lungomare come dovesse prendere il volo; infila una
via del porto, ancora piena di gente intenta a festeggiare il Capodanno. Si
ferma solo di fronte a un magazzino. Allora Orso spegne il motore, apre lo
sportello e vomita.
Allora che cosa ve ne sembra? Vi ho incuriosito?
Qui di seguito i Link di acquisto: LINK
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