Al cinema dal 23 gennaio A complete unknown.
Scheda Film
New York, primi anni ’60. Sullo sfondo di una vibrante scena musicale e di tumultuosi sconvolgimenti culturali, un enigmatico diciannovenne del Minnesota arriva nel West Village con la sua chitarra e un talento rivoluzionario, destinato a cambiare il corso della musica americana. Mentre stringe i suoi legami più profondi durante l’ascesa verso la fama, cresce la sua irrequietezza nei confronti del movimento folk e, rifiutando di essere etichettato, compie una scelta controversa che risuona culturalmente in tutto il mondo. Timothée Chalamet interpreta e dà voce a Bob Dylan in A Complete Unknown di James Mangold, l’elettrizzante storia vera dietro l’ascesa di uno dei cantautori più iconici della storia.
AL PASSO DI BOB DYLAN IN A COMPLETE UNKNOWN
A complete unknown è un progetto sul quale il regista Mangold e il cast lavorano da ben cinque anni. Traendo una fonte incredibile di notizie sulla vita di Bob Dylan dal libro "Il giorno che Bob Dylan prese la chitarra elettrica", di Elijah Wald, il film sceglie di raccontare l'ascesa al successo di Dylan e una parte ben specifica della sua vita. Questo perché l'America degli anni '60 è un terreno di cambiamento e di lotta tra il passato e il futuro, di incertezza e di paura quanto di emozione e di novità. Così come la musica.
Tra sconvolgimenti sociali, politici, culturali, attivismo contro la guerra e per i diritti civili, lo sfondo di A complete unknown si fonde con le caratteristiche del suo protagonista: un artista che non si è mai lasciato etichettare, fermo sull'idea che nessuno può essere definito. Perché definire è sinonimo di marginare, contenere, ridurre ciò che si è.
Il 25 luglio 1965, Bob Dylan, che fino a quel momento era considerato il massimo rappresentante della musica folk, salì sul palco del Newport Folk con chitarra elettrica e rock band. Questo gesto, rimasto nella storia della musica, per alcuni fu un segno di indipendenza da parte di Dylan, per altri un tradimento. Qualunque cosa fosse, è certo che la lotta contro le etichette riemerge prepotentemente. Il Bob Dylan di Chalamet è questo, una lotta contro le definizioni, una voglia di poter mangiare grazie al proprio talento, l'urgenza di farsi ascoltare. Ed è dunque importante capire che no, una persona non può essere solamente una sfaccettatura di sé. Non può essere solo un musicista folk, né solo un innovativo, né solo un ragazzo semplice. Non deve avere una storia particolare alle spalle per poter raccontare, per scrivere le sue canzoni, per coinvolgere anche chi non ha le stesse esperienze di vita. Un artista è ciò che rappresenta i molti, senza aver vissuto tutto.
Il lavoro di Timothée Chalamet è ottimo. La sua bravura nell'imparare a suonare e a cantare le canzoni di Bob Dylan è sbalorditiva. Ogni sessione musicale è stata ripresa dal vivo dopo il netto rifiuto dell'attore di esibirsi in playback, e grazie a questo uno dei punti forti del film è proprio il sonoro: le diverse location in cui vengono registrate le parti musicali fa sì che il suono risulta ogni volta diverso. Un'esibizione in Chiesa, una in studio di registrazione, un'altra sul palco. Il sound riecheggia, rimbomba, è dritto, lineare a seconda del posto in cui Bob/Timothéè sta suonando.
Poi c'è Edward Norton che interpreta Pete Seeger, il musicista che scopre Bob Dylan. Il suo personaggio ha un'età molto diversa, suona il benjo in un modo forse classico, ma complicatissimo a detta dello stesso attore che ha dovuto imparare a suonare questo strumento. Rappresenta la parte più ancorata alle tradizioni, ma che al tempo stesso sa riconoscere un talento anche diverso. Un genitore che si comporta da papà anche con Bob, intenerito dall'età del ragazzo ma anche attirato da un' ammirazione artistica; è la parte allegra, sorridente e dolce del film, è l'ottimismo e la rassicurazione che viene però messa a dura prova dal "nuovo figlio" stesso.
Monica Barbaro è Joan Baez, magnetica e seducente con un aspetto naturale, sempre a piedi nudi, dalla voce limpida e profonda. Si parla di attrazione, di affinità artistica e di competizione tra lei e Bob, quasi in netta contrapposizione con l'altro personaggio femminile, Sylvie, interpretata da Elle Fanning. Lei ama Bobby, il ragazzo misterioso che porta sempre con sé la chitarra e l'armonica, il poeta fuori dagli schemi, l'artista ancora insicuro. Non è disposta a dividerlo con il mondo, non per gelosia ma per una sorta di intimità che viene a perdersi con la fama. Del resto è qualcosa che ha travolto il personaggio di Dylan, e che lui stesso ammette nel film. Ma quanto vale poter mangiare con il proprio talento se questo richiede una serie di compromessi? Il doversi definire, etichettare, conformare agli schemi di quel tipo di musica, aprire con un pubblico che vuole sapere tutti i particolari del tuo passato, presente e futuro. Non vale, ed è per questo che Bob Dylan non si è mai piegato. Questa sua tenacia, se così possiamo definirla e che sembra essere uno dei punti cardine del film, non è costruita né forzata, ma è semplicemente parte di lui, parte di una sua profonda convinzione che consiste nel credere fermamente che ognuno è ciò che è, appunto. Credere nel cambiamento, nell'andare avanti, non cedere alla paura (neanche quando viene annunciato un possibile attacco nucleare: meglio fare musica in un club che fuggire, proprio quello che fa Bob), non adeguarsi alla velocità del mondo ma mantenere la propria. Ed è per questo che - cosa che ho apprezzato molto nella recitazione di Chalamet - Bob non corre. Non è mai di fretta la sua andatura, nemmeno quando è in ritardo di più di un'ora, neanche quando deve incontrare "persone importanti". Procede al suo ritmo, trova spazio per una sigaretta, per scegliere lo strumento, per scrivere.
La bella fotografia di Phedon Papamichael è capace come sempre di porre equilibrio tra luce e ombra, di far emergere le figure in secondo piano, di accarezzare con una luce delicata e al tempo stesso di isolare la star della scena con un riflettore che non lascia spazio agli altri. Ci sono vari usi della luce in A complete unknowm, vari ritmi - sia musicali che di narrazione, dettati dalla netta differenza tra il tempo del mondo e quello di Bob -, diversi punti di vista che trovano però un accordo nell'amore per l'espressione musicale, nella sua importanza, nella sua capacità di evolvere il mondo, di divertire, di far riflettere, commuovere.
Una storia che inizia con l'incontro tra Bobby, un ragazzo qualunque, e Woody Guthrie (Scoot McNairynel), cantante folk di grande successo, in quel momento ricoverato in ospedale per una grave malattia; prosegue con l'affermazione di Bobby in Bob Dylan, cantante che nessuno mai dimenticherà; e si conclude con un faccia a faccia tra lui e i personaggi che fino a quel momento hanno segnato la fase più importante della sua vita. Il tutto in uno scenario di cambiamenti e tumulti per l'America.
Come dice il regista, è un film che va semplicemente guardato, che fa riflettere sulla musica, sui cambiamenti sociali avvenuti da allora fino ad oggi, ma che non per forza deve andare oltre a ciò che è. Un film che non deve necessariamente cambiare il mondo, o provocare, o accendere dibattiti sulla politica o su quanto migliore fosse la musica di allora. Un film su una piccola ma importantissima parte della vita di un cantante immortale, pieno di buona musica, ottimi attori e qualunque cosa ognuno di noi ci vedrà.
Sylvie: "Sei venuto qui con nient'altro che una chitarra. Non parli mai della tua famiglia, del tuo passato..."
Bob: "Le persone inventano il loro passato, Sylvie. Ricordano quello che vogliono e dimenticano il resto."
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